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IL PROGETTO DI UNA CITTÀ CHE FUNZIONA

L'architettura a Tresigallo


Tresigallo non nasce da un evento traumatico, non nasce per la volontà di imporsi alla ribalta internazionale nel mondo dell’architettura ed in generale della cultura.

Esiste perché è stata ideata con uno spirito funzionale, affettivo, emotivo e – forse – campanilistico, sicuramente con la volontà di fare del bene alla comunità, di progettare una città che funziona. Il suo disegno urbano e i suoi edifici non portano la firma di grandi maestri, ma rappresentano un perfetto esempio di come una buona architettura possa costituire una base fondamentale per il benessere dei suoi abitanti.

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Rossoni, il super-progettista

La firma dell’ingegnere capo del Comune, brasseur d’affaires, o meglio longa manus del Ministro è in calce a molti progetti. E’ inutile, forse, tentare di ricostruire di chi siano o da chi siano stati ispirati realmente i singoli progetti, e forzato attribuirne paternità per analogia, rinvenendo somiglianze con l’architettura di Pagano o di Libera. L’elemento interessante è il risultato: un linguaggio architettonico compatto, omogeneo, non episodico.

Quasi mai eccelso, spesso modesto ma mai banale, come se anche formalmente e spazialmente fosse stato “pensato”, concepito come un tutto unico. Così com’è rilevante notare come il linguaggio proposto e dibattuto in quegli anni in mille polemiche, “a livello alto” da Persico, Pagano o Terragni, procedesse per altra via a normare di fatto la pratica corrente del costruire e del progettare quotidianamente.

Come se a una concezione di architettura e urbanistica a servizio del sociale corrispondesse già la codificazione di un sistema di soluzioni tecnico-formale. Infatti, se ad esempio a Sabaudia l’aderenza al Movimento Moderno avviene attraverso una scelta e una mediazione culturale coscienti, qui è il sommarsi di singole esperienze e conoscenze che dà luogo a un tessuto e a un’organizzazione degli spazi omogenei. E ciò testimonia l’esistenza di una cultura professionale radicata in profondità e abituata a intervenire secondo moduli e forme codificati con precisione. L’iconografia urbana che ne deriva è chiara, leggibile e anche fortemente simbolica. Si esprime qui, in questo paesello della provincia di Ferrara, la cultura degli ingegneri, dei geometri, dei tecnici, dei capo-cantieri1.

Eppure, il disegno finale della nuova Tresigallo, non è il risultato ben riuscito di un piano regolatore studiato da prestigiosi architetti, i quali parteciparono ad un concorso indetto dal Regime per la costruzione di una nuova cittadina nel ferrarese.
Per Tresigallo non è esistito alcun piano regolatore e nessun bando di concorso per l’elaborazione di un progetto (a differenza della maggior parte delle “città nuove”, come Sabaudia, Aprilia, Pomezia, per le quali, l’Opera Nazionale Combattenti, committente dei lavori, bandì un concorso nazionale), tanto meno è presente la firma di un importante architetto (o di un’équipe d’architetti). La fisionomia della nuova città industriale -il vero piano regolatore- si trovava, probabilmente da molto tempo, nella mente e nei sogni di Rossoni, il quale, volgendo lo sguardo al suo antico borgo natìo, già sapeva (o intravedeva) dove sarebbero state tracciate le nuove vie, edificate le moderne industrie di trasformazione e dove sarebbero stati realizzati i nuovi edifici.

Il Ministro, infatti, durante la rifondazione del suo paese, avvisando per tempo l’amico Mariani, capitava spesso a Tresigallo e, a piedi, attorniato dai tecnici che lavoravano in paese -suoi fiduciari- andava a visionare tutti i cantieri in attività e dava indicazioni in merito all’architettura che doveva assumere il nuovo edificio, suggeriva il punto in cui doveva sorgere, la futura colorazione (controllando personalmente il campione del colore2), decideva dove sarebbero dovute essere tracciate le future strade, dove avrebbero trovato collocazione i piazzali, gli slarghi, le circonvallazioni, andando a parlare direttamente con i proprietari per gli espropri; annotava, disegnava schizzi che lasciava all’ing.

Frighi, disponeva, sollecitava. Non è che fosse, la sua, una visita proforma, ma era una visita competente. Rossoni, nel complesso delle operazioni che avvengono nella nascita del paese di Tresigallo, oltre al suo noto ruolo, assume evidentemente anche quello di super-progettista, quasi un coordinatore generale che impartisce direttive non solo di carattere politico o giuridico-amministrativo, ma anche di ordine tecnico.


1 Parametro. Rivista internazionale di architettura e urbanistica. Il restauro del moderno. N. 266. Bimestrale n. 5. Anno XXXVI. Faenza Editrice. Novembre e dicembre 2006.
2“Dirai a Frighi che bisogna colorire alcune case (per esempio Albergo e Ricamo) col rosa antico e travertino. Preparate campione per la mia prossima venuta.” Lettera di Rossoni inviata a Mariani il 2 novembre 1936.

Una città di ri-fondazione

Il fenomeno di Tresigallo, tuttavia, a differenza delle città nuove, non può essere oggettivamente classificato come un affermato modello di “fondazione”, pur nel riscontro di ricorrenti motivazioni strutturali e dei relativi processi insediativi.
Le poche e localizzate permanenze costruite anteriormente all’intervento rossoniano, quando prospetticamente compatibili, sono state mantenute quasi integralmente, reinserite in uno schema progettuale di ampliamente – pur dimensionalmente e qualitativamente assai più radicale -, tutto innervato sul segno forte del preesistente asse stradale centrale. Un’esperienza di rifondazione, dunque, che integra e mimetizza la configurazione storica del paese in un più monumentale e spettacolare involucro urbano.

Il progetto che Rossoni-Frighi avevano attuato, classifica il costruito prerossoniano con una logica binaria elementare: gli edifici che potevano essere riutilizzati nell’attualizzazione della dimensione prospettico-percettiva della struttura urbana (gli edifici che non turbavano il quadro viario progettato) vengono mantenuti e “arricchiti”, mentre nel caso di una “sovrabbondanza” di tal preesistenze nello schema rigido di tale progetto, queste venivano tranquillamente eliminate – per intero o in parte.

Nel caso dell’asilo parrocchiale, ad esempio, l’operazione di ammodernamento si limita all’aggiunta, fuoriuscente, di un portale istoriato che non altera il volto e la tipologia originarie; nel caso della chiesa, l’intervento sostituisce molto più estesamente l’immagine dell’originaria costruzione settecentesca, mantenendo –oltre la facciata – ben visibili porzioni dell’edificio antecedente.

La città chiusa e l’architettura di facciata

Considerando la concentrazione dell’architettonico sugli slarghi di circonvallazione, risulta esplicita la struttura urbanistica chiusa del paese: il disegno schematico base si avvicina alla morfologia urbana della “città fortificata”; gli edifici mostrano chiaramente l’adattamento prospettico alla struttura viaria, con una funzione percettivo-scenografica dello slargo urbano.

Lungo tutta la cittadina si fa larghissimo uso degli edifici come quinta scenica: vengono distribuiti in modo tale da non lasciare allo sguardo alcun punto di fuga che non sia una strada di collegamento con le realtà territoriali limitrofe.

L’occhio trova sempre un fulcro sul quale posarsi alla fine di un viale -una cortina edilizia o una recinzione- che conclude la città ed esclude la campagna circostante. L’impressione che se ne riceve è quella di trovarsi di fronte a possibilità sempre differenti di percorso che conducono lungo l’esplorazione di angoli di città nuovi e inattesi. Inoltre, le emergenze architettoniche poste a chiusura prospettica dei viali che si intersecano con Via del Mare assolvono la funzione di ricucitura visiva, rendendo ancora più evidente il rapporto fra lo spazio per la residenza e quello per il lavoro.
Lo stesso principio vale anche per la ex Colonia Post-Sanatoriale: grazie al legame visivo che ne annuncia la presenza lungo il viale che abbandona Piazza Italia, essa rimane vincolata alla città pur non essendo facilmente accessibile a causa delle funzioni originariamente ospitate. Laddove la cortina edilizia diventa improponibile, essa lascia il posto alla recinzione delle fabbriche o delle aziende agricole, che accompagnano il visitatore sia all’arrivo che alla partenza dalla nuova città. A paradigma di questo atteggiamento progettuale si può sicuramente assumere il porticato che corre lungo il lato sud-ovest del beneficio parrocchiale: esso è al contempo oggetto urbano e recinzione, caratterizza la piazza antistante e ne disegna lo spazio divenendo quinta scenica cui un particolare effetto “a gelosia” delle grate in finto marmo conferiva profondità. Questa particolare scelta progettuale permette di risolvere il problema di gran parte delle preesistenze senza ricorrere alla demolizione: la zona dei Cortili, uno dei nuclei storici del borgo, costituita da case basse e addossate l’una all’altra, viene semplicemente nascosta da nuovi fabbricati che vanno a colmare i vuoti fra i corpi di fabbrica esistente, rafforzando la funzione di schermatura visiva che già in precedenza assolvevano parzialmente. Lo stesso vale per il piccolo cimitero prospiciente piazzale dei Mille, coperto dalla prosecuzione del corpo di fabbrica della SAIMM. Una soluzione analoga si ritrova anche nella zona denominata Ghetto, a Nord Est di Piazza Italia: una recinzione dal tipico disegno dell’epoca segna i due lati di un cortile antistante ad un edificio dalla tipica tipologia rurale del Basso Ferrarese. Se i prospetti su strada risultano particolarmente curati nel disegno e nelle finiture, non altrettanto si può affermare per le facciate posteriori degli edifici: si passa dalle finiture più frettolose per i manufatti di più alto valore urbano fino all’asciuttezza riscontrabile nei grandi blocchi di appartamenti, dove muri lisci, semplicemente intonacati, presentano bucature prive di qualsiasi ornamento. Ciò permise di contemperare la velocità di realizzazione con l’ottimizzazione delle risorse, requisiti di primaria importanza per il committente: l’accento viene posto sullo spazio pubblico e sulla funzionalità degli spazi interni, tutto il resto risulta marginale.

Un’armonica città razionalista

Tresigallo non nasce da un evento traumatico, non nasce per la volontà di imporsi alla ribalta internazionale nel mondo dell’architettura e, in generale, della cultura. Esiste perché è stata ideata con uno spirito funzionale, affettivo, emotivo e – forse – campanilistico, sicuramente con la volontà di fare del bene alla comunità, di progettare una città che funziona. Il suo disegno urbano e i suoi edifici non portano la firma di grandi maestri, ma rappresentano un perfetto esempio di come una buona architettura possa costituire una base fondamentale per il benessere dei suoi abitanti.”1

Un merito indiscutibile di Rossoni (e della sua numerosa équipe d’esperti) è quello, certo, di aver progettato una città operaia, corporativa, industrializzata, ma, nel realizzare questo, ha voluto portare – in una città dove il centro generatore era la fabbrica – anche un alto senso estetico e di bellezza molto interessante in tutto l’abitato tresigallese. Qua non si trovano mere case operaie, ma case per gli operai con colonnati, balconi, portali, il tutto rivestito da pregiati infissi in ferro finestra, bassorilievi, marmi, mattoni in litoceramica, vetrate lavorate a mano.

Rossoni chiama prima di tutto artisti (i falegnami, i decoratori, gli intonacatori, i fabbri ferrai, gli scultori, i vetrai…) per rendere bella, accogliente, armoniosa e armonica una cittadina industriale. Anche le industrie vennero studiate, progettate e realizzate con portali scenografici, simmetrie particolari, simbologie nascoste, svettanti torrette. E ci fu una “cucitura” perfetta e armoniosa fra l’abitato e la zona industriale non indifferente.
Ma a Tresigallo non si lavora come a Latina (al tempo Littoria), o Carbonia o Torviscosa, (cioè città nuove da propagandare, dove l’architettura razionalista diventa, in molti casi, a servizio dell’ideologia fascista, dando vita così a immobili troppo spesso autocelebrativi, maestosi e a tratti soffocanti; senza togliere, comunque, il loro alto valore architettonico e artistico).

A Tresigallo, le nuove strutture razionaliste vengono realizzate a misura d’uomo, proprio perché la nuova cittadina venne pensata per “andar incontro” alle esigenze sociali, quelle della comunità. Ecco perché Tresigallo si differenzia quasi totalmente dalle altre città nuove: per la sua armoniosa complessità, per l’interessante visione sociale che stava a monte del progetto urbano.

La nuova Tresigallo viene concepita in modo da creare non solo un’indiscutibile relazione fra l’abitato e il territorio attraverso l’industria di trasformazione, ma anche tutta quella complessità di relazioni sociali che fondano l’identità urbana. Una vera città corporativa, basata sulla concordia tra le classi sociali, nata e creata per rispettare l’ambiente, orientata a creare nuove fonti di vita.

Lo stile e il linguaggio architettonico che possono - in maniera sintetica ma non esaustiva - essere definiti come il risultato di un compromesso tra le tendenze razionaliste più innovative e l'atteggiamento reazionario-monumentale di impronta piacentiniana, rappresentano un elemento ricorrente e sicuramente caratterizzante della quasi totalità degli edifici di Tresigallo. Il fatto che questo 'tipo di architettura' rappresenti la 'normalità', che assimila e porta su un unico piano formale le residenze civili insieme agli edifici amministrativi di Regime e a quelli a sfondo ricreativo, ha contribuito a limitare il rifiuto ideologico nei propri confronti.
L'architettura è compresa fra le opere razionaliste più vernacolari, tuttavia il metodo utilizzato per organizzare il centro urbano e alcune soluzioni specifiche, nonché l'uso di materiali storici, rende prezioso questo esempio straordinario dell'architettura degli anni trenta.

La cittadina rifondata - che nel disegno a tavolino testimonia il rispetto dei caratteri del tessuto esistente dall’età medievale fino alla grande bonifica ferrarese della seconda metà dell’800, con la ristrutturazione in boulevard della strada principale già esistente, - non rinuncia inoltre alla sperimentazione di nuove forme e stili del panorama nazionale e internazionale come l’art deco della ex G.I.L. e della ex Caserma dei Carabinieri, o quello metafisico dei porticati di piazza Repubblica, precursore del miglior post-moderno di almeno cinquant’anni.
Una città che dà testimonianza dell’irrinunciabilità degli elementi della nostra tradizione urbana come la piazza, il viale, il porticato, il giardino, unici garanti del successo nella costruzione di una “città italiana”.

Una città di fondazione che, per completezza del disegno urbanistico, per sofisticazione delle soluzioni scenografiche, per raffinatezza dell’impianto progettuale, si può definire “La” città di fondazione, la più completa mai realizzata in Italia nel periodo fra le due guerre.


1 Arch. Andrea Sardo. Atti del simposio – Ricerca di un’identità. 27-28 giugno 2008. Casa della Cultura. Italiapolitografia editore. 2012. A cura dell’Associazione Culturale Edmondo Rossoni “Sviluppo e Benessere”

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